Premetto che sono molto entusiasta del libro anche perchè io sono una patita delle raccolte di racconti, secondo me la bravura di un autore si dimostra dalla sua capacità di scrivere o meno racconti brevi validi, e la mia musa in questo senso è
Katherine Mansfield, INSUPERABILE. Comunque ve ne sarete già accorti, anche per Natale l'anno scorso ho proposto una raccolta di racconti di
Dickens.
Vado col commento al primo racconto
ADULTI DA SOLI per cui non leggete se non volete spoiler e ancora dovete cominciarlo.
Questo racconto mi ha messo una depressione infinita, giuro, se avessi avuto una katana a portata di mano avrei fatto seppuku. Mi è indubbiamente piaciuto, penso che ci siano tanti spunti dentro, sia per quanto riguarda vita di coppia che sul senso della vita e si potrebbe parlarne per giorni. Purtroppo è intriso di realismo, lo dico da donna sposata, nel senso che anche se le circostanze sono assai differenti, ho riconosciuto certe dinamiche dei rapporti di coppia "sicuri" che in effetti a leggerle su carta fanno un po' impressione, perchè là dentro, checchè se ne dica, c'è anche un po' di quel che significa "matrimonio" insomma, quella parte che comincia dopo che
Cenerentola si è tolta il tulle, è tornata dal viaggio di nozze (
o anche durante il viaggio di nozze se il marito soffre di flatulenza), ed ha inforcato la bicicletta in mezzo al traffico per andare al supermercato a fare la spesa. Io per fortuna non ho figli almeno. Questi due adulti protagonisti evidentemente sono allo sbando, si sono fatti distrarre dalla routine, hanno una seria crisi esistenziale, e quando per la prima volta dopo parecchio tempo si ritrovano soli, senza doveri "borghesi", senza un termometro-famigliare (
i bambini, nel loro caso) non sanno più che cosa farsene l'uno dell'altra. C'è questa dinamica per cui, dopo tanti anni di convivenza, una coppia diventa "incestuosa" nel senso che conosci talmente bene l'altro e ti adatti talmente bene a lui che è diventato un tuo famigliare e non la passione o l'amore della tua vita. Dopo un po' diventa più un terzo figlio/un fratello a cui fare da mamma/infermiera o viceversa e penso che per questo tra i due non è l'amore il primo sentimento riconoscibile durante la lettura. L'amore c'è, o meglio, una simbiosi, ma non quello che noi ciovani abbiamo sognato, è una roba che ha il suo rovescio della medaglia e che letta così, crudamente, ti fa venir voglia di rimanere single a vita. L'altro diventa come una parte di noi, non nel senso di una parte bella ma di una odiata, una specie di brufolo a cui hai fatto l'abitudine e che dopo tanto tempo è diventato una parte di te e ne sentiresti l'effettiva mancanza se sparisse. Lo specchio ci rimanda noi stessi, con pregi e difetti, tolti i difetti non saremmo più noi, no? Un po' come una gobba al naso: uno va dal chirurgo estetico a togliersela e passa i successivi 20 anni in terapia, perchè gli manca quel qualcosa anche se non gli piaceva e se non si rende razionalmente conto del perchè o del per come. Ecco, probabilmente il marito è la gobba al naso di questa tizia e lei intuisce che liberarsene dal chirurgo estetico non sarebbe la soluzione, perchè il problema è dentro di lei o nelle regole del mondo mal costruire ed applicate male alle quali dobbiamo sottostare (
10 punti ed un peluche per la forza e la lungimiranza della signora).
Narrativamente parlando mi è piaciuta molto la parte del sogno degli squaletti, forse perchè mi affascinano i sogni, io ne faccio almeno quattro per notte e anche più strani (
ne faccio ma non mi faccio, che è peggio!).
Quello che l'autrice è riuscita a rimarcare per bene già da questa prima prova è l'attaccamento che queste persone di cui parla hanno alle loro cose, ci si aggrappano disperatamente quasi fossero un'àncora di salvezza, come se i loro beni materiali non solo fornissero quella sicurezza che indica il titolo della raccolta, ma costituissero una parte più che fondamentale nel processo di costruzione della loro identità. La coperta di
Topolino ad esempio che rimanda alla "purezza" dei figli, e dunque alla propria immagine di genitore sicuro, "pulito" e affidabile, panni che lei sente l'esigenza di tornare a indossare dopo aver invece dato prova di essere anche "altro", e quando dico altro mi riferisco ovviamente al suo aspetto più "istintivo e selvaggio", che non rimanda di certo ad una madre e cittadina modello nel senso borghese dei due termini. Senza i figli (
anch'essi un po' trattati come due oggetti) cade la loro maschera. Senza gli oggetti sembrano un po' due animali capaci solo di fare sesso (
in maniera molto romantica), mangiare schifezze in posti improbabili, drogarsi a tutta birra. Fanno anche un po' schifo a vederli così, diciamocelo, razzolano nudi in giro per casa, e non è una nudità seduttiva, è una nudità irrazionale, trascurata, animale e direi anche "di protesta" perchè ci si spoglia delle cose, si mostra le proprie pudenda
si diventa vulnerabili quando si è nudi. Perchè anche i vestiti in fondo sono oggetti, oggetti che coprono questa nudità, e ci trasformano un po' a loro comodo, modificano la personalità di chi li indossa e allora ti metti un tailleur e acquisisci più fiducia in te stessa, indossi un intimo costoso e raffinato e ti senti più bella etc. Ma "essere" e "sentirsi" sono "due cose molto diverse"
come direbbe Richard Gere in Runeway bride (
mamma le mie citazioni colte dicono troppo della mia ignoranza... ) indi per cui forse questi oggetti, più che una sensazione, una fiducia, e una sicurezza momentanea, altro non danno. Rischiano anzi di erodere l'equilibrio dalle nostre fondamenta. La forte dipendenza che dà l'attaccamento agli oggetti qui può essere paragonata appunto alla droga (
credo che non compaia a caso infatti), al cibo, all'alcool, al gioco. Sono tutte dipendenze che a parte un effimero senso di euforia e felicità altro non forniscono, anzi, sono pericolose e/o controproducenti.
Scusate se ho affastellato tutti i miei pensieri così, sgrammaticamente. Consiglio ai due coniugi del racconto, e anche a me, il ritiro in un ashram
[Modificato da laur4brown 11/10/2010 08:43]